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La rivincita dell'Italia su l'industria e il furore bolognese artiginale: Le medaglie d'oro di Bologna

Gli artigiani bolognesi del luppolo sono da medaglia d’oro. La fiera internazionale di Rimini dedicata alle birre artigianali ha premiato con tre primi posti nelle rispettive categorie i quattro microbirrfici di Bologna presenti.



Sono del Birrificio Emiliano, stabilimenti ad Anzola Emilia; Statale Nove, di Crespellano; e Vecchia Orsa, di Crevalcore, alcune delle migliori birre italiane. Assieme a loro, a Rimini c’era anche una novità dei luppoli felsinei, la Birra del Reno. Per tutti loro, la birra è qualcosa di più di una bevanda, o un lavoro. È un atto di fede, per dimostrare che non tutte le birre sono uguali e, dietro a uno sguardo superficiale, una “bionda” di cui innamorarsi davvero val bene qualche sacrificio. 

Pochi dubbi, il settore delle birre artigianali è in crescita: nel 2007 in Italia i microbirrifici erano meno di 200, oggi superano i 400, in Emilia-Romagna si è passati da 9 a 38. E il quadro è di ulteriore crescita. “Andiamo forte, da 50mila litri annui stiamo arrivando a 80mila, ora che il consumatore s’è abituato al prodotto la crescita è costante: la gente è stanca di bere birracce”.



La migliore affumicata italiana è la Preda di Statale Nove, e anche l’azienda di Crespellano ha accelerato: in tre anni di attività, da 46mila a 69mila litri l’anno, quindici birre diverse, due nuovi stili in cantiere. E anche chi è nuovo nel mercato sorride: «La partenza è stata entusiasmante», conferma Andrea Mussi, che coi fratelli Paolo e Milena l’estate scorsa a Castel di Casio ha dato vita a Birra del Reno. Diecimila litri l’anno, distribuzione autogestita e una birra davvero fatta in casa: «Rifermentiamo in bottiglia con miele prodotto da noi, e aromatizziamo con erbe dell’Appennino coltivate in azienda».

Vecchia Orsa, fondata nel 2008 come parte della cooperativa FattoriAbilità, di cui Clementel è presidente, unisce alla passione uno scopo sociale. Negli stabilimenti lavorano ragazzi con handicap o deficit psichici “che, inseriti nel mondo del lavoro, possono produrre eccellenze, come dimostra questo premio”. Ritirato sul palco di Rimini dal mastro birraio Roberto Poppi assieme proprio a questi ragazzi, che con lui lavorano ogni giorno.

Certo, è un bere diverso, e non sempre il consumatore è abituato. “Allora proviamo a istruirlo, a fargli provare qualcosa di nuovo”, spiega Cristian Teglia di Statale Nove. Resta lo scoglio del prezzo: i costi di produzione sono alti, al bancone una bottiglia da 75 cl può superare i 10 euro: «Ma è un blocco più psicologico che altro – sottolinea Mussi -, al bar si paga 4-5 euro una pinta di bionda dozzinale». E allora, cheers, anzi ala salût. In fondo, questa birra parla bolognese.











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